Il Dibba, un incendiario agli Esteri «Mi sento pronto a fare il premier»

Sabato 23 Agosto 2014
ROMA - Dibba, purtroppo, non è Di Bartolomei (anche detto Ago). E' Alessandro Di Battista (anche detto Ale). «Ancora tu, non dovevamo non vederci più?», direbbe al Dibba sbagliato Lucio Battisti. Il quale era un moderato, al contrario del pasdaran grillino sempre in cerca di pubblicità, che la spara grossa sperando nel botto mediatico, che ha quella faccia un po' così del piacione in cerca di successo. A cui andrebbe inflitta la condanna più dura e per lui dolorosa, quella che molti cominciano a proporre sia nei partiti a lui avversi sia nel partito suoi, tra quei grillini che poco lo sopportano: «Facciamo lo sciopero della replica a Di Battista?». Ma Grillo lo ama (e verbalmente lo arma). Se Dibba è quello che è, un po' tronista e molto incendiario, Luigi Di Maio è la faccia grillina più istituzionale e perciò il guru Beppe sembra prediligere Di Battista a quell'altro.
Dibba aveva detto che andrebbero compresi i fanatici islamisti che decidono di far saltare un vagone della metropolitana in qualsiasi grande città, e poi però - quando si è discusso seriamente del fanatismo in Iraq e degli aiuti da dare ai curdi martoriati - il pacifista-bellicista Ale se n'è restato gioiosamente in vacanza in Nepal invece di tornare a Montecitorio l'altro giorno come hanno fatto gran parte dei suoi colleghi onorevoli. Ma Dibba è fatto così. Un po' morettiano del genere «mi si nota di più quando non ci sono». E un po' dibattistiano: «Mi si nota di più quando la sparo grossa». Ed è nientemeno, che vice-presidente della Commissione Esteri della Camera. Maddechè! E invece è proprio così. E lo è con quel suo miscuglio rimasticato di terzomondismo discount, di anti-occidentalismo pseudo-ideologico, di berlusconismo sinistrese (nel senso: l'importante è far parlare di Io), di retorica giovanilistica e altromondistica del web, di estetica della rivoluzione (di nuovo: maddechè!). E' uno di quelli che, rimasticando rimasticando teorie del complotto e dietrologie da mercato delle pulci, è capace di dire e lo ha detto: «Mi domando per quale razza di motivo si prova orrore per il terrorismo islamico e non per i colpi di Stato della Cia».
Lo chiamano Er Patacca. «Sono pronto a fare il premier», ha detto una volta. Al Dibba piace giocare con la Jihad. Ha capito che il tema tira e il suo giochetto - quelli che sembrano cattivi in realtà non sono così cattivi come tutti pensano - rende dal punto di vista pubblicitario. Per la nouvelle vogue del grillismo, Ale è perfetto. Quando la politica viene ridotta a caciara, lui è il miglior catalizzatore di telecamere. I grillini vanno in protesta sul tetto di Montecitorio, lui è il primo. Gridano contro il Pd che vuole «il regime» e altre schifezze autoritarie, lui è quello che grida di più. C'è una rissa d'aula a cui partecipare, ed ecco che arriva lui gridando: «Pistaaaaa».
M.A.

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