La tecnologia è un mezzo che fa emergere la nostra immaturità

Martedì 9 Giugno 2015
Il sogno dei dittatori e dei regimi totalitari è arrivare al controllo completo delle vite dei loro sudditi, trattandoli come se fossero bambini. Per far questo, come insegna la storia, il potere ha dovuto esercitare una notevole dose di violenza. Le vittime ponevano resistenza e, quand'era possibile, si sottraevano almeno in parte alla vigilanza dell'occhio di quello che Orwell, nel suo famoso romanzo, chiamava il Grande Fratello. Ma oggi il Grande Fratello è diventato un format televisivo che esalta l'esibizionismo di coloro che vi partecipano, ansiosi di mostrare piuttosto che nascondere quello che, tuttavia, non è più un segreto per nessuno. Analogamente, il controllo capillare è assicurato al potere (democratico o totalitario poco importa, come insegna la Cina) dalla tecnologia, in particolare dal sistema di internet e dalla sua sempre più stretta integrazione con il sistema della telefonia mobile cellulare, nonché dai cittadini che vi aderiscono spontaneamente.
Tablet e smartphone consentono, infatti, di immaginare come realizzabile quell'interconnessione universale di ogni essere umano (capace di consumare) alla rete che la prima rivoluzione digitale, quella dei computer, ha fallito. Infatti, molte persone che, se non costrette dal lavoro, mai si sarebbero sognate di passare più di pochi minuti della propria esistenza davanti a un pc, ormai vivono in totale simbiosi con gli schermi dei loro dispositivi mobili, dando vita ad azioni e comportamenti la cui compulsività e ripetitività ossessiva ha un carattere patologico che solo l'ideologia dominante ci impedisce di vedere. A cominciare dai bambini. Ben prima, cioè, di quel segmento dai 15 ai 24 anni che, secondo il campione del sondaggio, è colonizzato al 95% dagli smartphone. A cena, in treno, in autobus, ma anche alla festina di fine scuola, ecco il non infrequente spettacolo di ragazzini chini l'uno accanto all'altro, ma assorti sul tablet, o a “messaggiarsi” (sic!) anche se sono nella stessa sala, a pochi metri di distanza. E contemporaneamente sciami di cicalini di applicazioni cosiddette “social” inducono a interrompere l'attività e a rispondere, nel culto di una distrazione collettiva che viene contrabbandata come stimolo e prestazione.
Il tablet/smartphone è un oggetto pensato per fare molte cose, ma il suo tratto unificante è il trastullo giocoso, le icone colorate, la semplificazione dei gesti, il “tocco magico” che produce effetti. La superficialità non è solo estetica, ma un dato strutturale, che riduce l'attenzione, limita la capacità espressiva, induce a una istantaneità senza pensiero. E dove sarebbe l'acquisto della tecnologia, se invece di guadagnare tempo ne ho sempre meno? Se ora il lavoro mi segue anche a casa, nei giorni di festa, nel tempo libero e in vacanza? Ma la tecnologia è, ancora una volta, solo un mezzo che fa affiorare l'immaturità che cova nell'essere umano. Come scrive Umberto Curi nel suo ultimo libro, La porta stretta, «non si diventa maggiorenni una volta per tutte. La fuoriuscita dalla minorità è un processo inconcludibile». Non solo, mi permetterei di aggiungere, ma la maggior età è reversibile o semplicemente anagrafica. Come nell'ultimo spot televisivo con Alessia Marcuzzi, dove i clienti, entrando nei negozi di una nota multinazionale telefonica, tornano «felici come bambini». Appunto.
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