Il Giubileo di Francesco parte dalla chiesa africana

Lunedì 14 Dicembre 2015
Il Giubileo di Francesco parte dalla chiesa africana
BANGUI (CENTRAFRICA) - Bangui è solo un puntino sul mappamondo ma, da ieri, è diventata «la capitale spirituale del mondo». Tre rintocchi di martelletto su una porta di legno grossolano, fresca di vernice marrone, e Papa Bergoglio ha fatto di questa chiesa di mattoni, tirata su alla meglio, il centro della Misericordia perché il Giubileo, almeno per l'Africa, è partito in anticipo rispetto a Roma.
E' la prima volta nella storia che un Giubileo viene aperto fuori dal Vaticano. Ci è voluto un viaggio spericolato, fatto nonostante le allarmanti previsioni della vigilia, perché tutto si capovolgesse, costringendo la Chiesa occidentale a vedere anche quello che solitamente non vede. Tre tocchi di martelletto e l'esistenza di un altro mondo, solitamente dimenticato, rimosso dalle coscienze, è affiorata tutta in una volta, imponendosi. Francesco non ha dovuto usare il paracadute, come scherzava alcuni giorni fa, per arrivare in Centrafrica ad inaugurare in anticipo l'Anno Santo. C'è arrivato dall'Uganda, con l'Alitalia, usando per alcuni chilometri persino la papamobile scoperta per raggiungere quello che fino a qualche anno fa era il centro storico guardato a vista dagli uomini della gendarmeria vaticana e circondato dall'affetto di una folla incredibile di persone, assiepate lungo la strada, arrampicate sulle case distrutte o in costruzione.
Ormai Bangui è una città martire dove manca tutto, dove la povertà è così sfacciata da essere difficile da descrivere. Lo specchio di una violenza che pare non avere fine. «A tutti quelli che usano ingiustamente le armi del mondo, io lancio un appello. Deponete questi strumenti di morte, armatevi piuttosto della giustizia e dell'amore». Lo ripete e lo farà anche in altri momenti della giornata, insistendo sul fatto che quando le forze del male si accaniscono, ai cristiani spetta alzare gli scudi e rispondere all'appello, «pronti a resistere in una battaglia in cui Dio avrà l'ultima parola, e questa parola sarà l'amore». Insomma, «Dio è più forte». Il messaggio risuona nella cattedrale stipata di folla come mai si era visto. Fuori, invece, è circondata da caschi blu armati fino ai denti e mezzi militari, ma al di là della preoccupazione, il clima generale sembra sotto controllo.
Perdonare non è facile. L'invito sembra quasi rimbombare ma stavolta non è solo un messaggio pastorale, destinato alle coscienze. Al tempo stesso suona come un invito ai politici cattolici che sono candidati alle elezioni di dicembre a traghettare il Paese in un terreno nuovo, più includente, aperto alla misericordia, seriamente motivato ad uscire dalla spirale della vendetta. Insomma, ai cristiani Bergoglio chiede «di essere artigiani del perdono». La gente pensa che la visita di Francesco sia un segno per la fine della guerra. Lo pensano anche i musulmani che incontrerà stamattina nel quartiere K5, dove si trova la moschea. Anche di recente teatro di rappresaglie e saccheggi. Ai giovani del Centrafrica affida il testimone del futuro. «Andate, io vi mando», sussurra Bergoglio con l'affetto di un nonno. «Il perdono ricevuto ci consola e ci permette di ripartire con il cuore fiducioso e in pace. Perdonare chi ci ha fatto del male è umanamente molto difficile, ma dio ci offre la forza e il coraggio per diventare artigiani di pace e riconciliazione». Il Giubileo della Misericordia si è messo in moto.
Un po' come se il mondo si fosse capovolto. E' un ripartire dal basso, aggregando le coscienze, varcando in modo trasversale i continenti, per realizzare una vera Chiesa di popolo. Dove non c'è posto per un Occidente cieco e un terzo mondo invisibile. Una serie A e una serie B. Il sogno di Papa Bergoglio è tutto qui. Anzi è custodito in diversi frammenti di immagini. Nel campo profughi vicino all'aeroporto, dove sotto luride tende bianche vivono ammassate migliaia persone, (abbandonate persino dalle organizzazioni internazionali), Bergoglio non fa che baciare dei neonati paffuti. Indugia. Li coccola. «Tutti siamo fratelli, mi piacerebbe che vivessimo tutti assieme come fratelli». La gente accoglie la sua visita come quella di un taumaturgo, capace di trovare il modo di rimettere in carreggiata il Paese. «E' la fine della guerra. La sua visita cambierà tutto», dice Lemgama, una giovane che si è fatta parecchia strada da sola per salutarlo. A dicembre a Bangui ci saranno le elezioni. «Serve il disarmo». Disarmare però le milizie Seleka, quelle di estrazione islamica più radicale, non è impresa facile, e lo sa bene anche l'imam che stamattina darà il benvenuto a Bergoglio nella moschea per una preghiera (ma ognuno pregherà in silenzio e per conto suo). La guerra civile, ancora dietro l'angolo, ha lasciato dietro una scia di macerie, di vendette, di famiglie smembrate, di abitazioni bruciate, come quella del pastore protestante. Bergoglio si presenta come «pellegrino di pace, e apostolo di speranza». La presidente Samba Panza - avvocato per i diritti civili, madre di tre figli, chiamata a preparare le elezioni - gli chiede scusa per la violenza che è stata seminata. La guerra è scoppiata nel 2013 per colpa dei miliziani islamici Seleka. La Francia aveva chiuso un occhio. La posta in gioco era alta. L'errore del presidente deposto Bozizè fu di avere ceduto alla Cina le concessioni petrolifere di Boromata, nel Nord Est, lasciando fuori i francesi. Bozizè a Radio France commentò: «Sono stato rovesciato a causa del petrolio. Ho dato il petrolio ai cinesi e questo è diventato un problema».
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