Il gran caldo si "mangia" i ghiacciai
bruciata la riserva degli ultimi 6 anni

Domenica 30 Agosto 2015 di Daniela Boresi
Il gran caldo si "mangia" i ghiacciai bruciata la riserva degli ultimi 6 anni
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Non sono solo gli esseri umani a soffrire per questo luglio da record. Alte temperature hanno infastidito, e non poco, anche la natura. Ghiacciai in prima fila. A Nordest sono le Dolomiti ad aver patito di più, una situazione che si preannuncia peggiore di quella del 2006. Mai come quest’anno le cime innevate delle grandi (e delle piccole) montagne si sono spogliate della spessa coltre di ghiaccio "racimolata" durante le nevicate invernali.



Il bilancio vero e proprio gli esperti lo faranno solo alla fine di settembre quando davvero le temperature dovrebbero iniziare a scendere e soprattutto ad alta quota comincerà a scendere la prima neve: se ciò non dovesse accadere, o le precipitazioni nevose non fossero sufficienti, potrebbe scattare l’allarme. Ma già da una prima stima la situazione appare davvero pesante: di fatto si sono persi gli accumuli degli ultimi 3-6 anni. I grandi ghiacciai hanno visto "evaporare" dai 1 a 3-4 metri per i grandi. E non si parla solo di spessore, ma anche di "arretramento" delle masse che lasciano scoperta la parte sottostante.

Il professor Franco Secchieri, glaciologo, in questi giorni sta sorvolando le Dolomiti del Veneto e del Trentino Alto Adige per "mappare" la situazione. «La visione più corretta si avrà a fine settembre, proprio poco prima della prima neve invernale - spiega l’esperto che anche negli anni passati ha mappato le nostre montagne - Ma già ora ci si può fare un’idea della condizione. Dalle immagini che ho visto posso affermare che la perdita di massa è molto estesa. Marmolada e Antelao, ma anche l’Adamello, hanno visto ridursi in maniera drastica la neve scesa durante il periodo invernale e già da ora si può prevedere un bilancio negativo per le masse future delle Dolomiti».

Le conseguenze di questa situazione possono essere davvero pesanti: senza dubbio ci sarà una riduzione della riserva idrica, non secondi l’aspetto paesaggistico e la sicurezza e stabilità.

«Dal punto di vista alpinistico urge molta attenzione - aggiunge Secchieri - La neve con questa temperatura è in fusione anche nelle alte quote e i ponti sui crepacci sono molto deboli, nelle pareti settentrionali si possono verificare cadute di masse anche grandi. Le rocce instabili possono essere messe in movimento dalla fusione spinta dei ghiacciai. Il Cervino ad esempio è stato chiuso alle scalate, così altre cime».

La speranza a questo punto è che arrivi quanto prima la nuova neve, ma le previsioni non sembrano essere molto promettenti (il condizionale è un obbligo in quanto previsioni a lunga gittata sono davvero rischiose).

«Normalmente nella statistica la neve invernale non arriva prima di ottobre. A volte è arrivata in novembre, pensiamo a 7-8 anni fa - aggiunge il glaciologo - Il tempo è difficilmente governabile, gli scorsi due anni sono stati generosi con i ghiacciai. Se questo non lo fosse sarebbe un bel problema per le nostre montagne, ma anche per quelle del Trentino Alto Adige che si trovano in condizioni analoghe».

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Ultimo aggiornamento: 31 Agosto, 10:26
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