Al Qaida, 10 arresti in Italia: kamikaze pronti a colpire in Vaticano

Venerdì 24 Aprile 2015
Al Qaida, 10 arresti in Italia: kamikaze pronti a colpire in Vaticano
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Sono dieci le persone arrestate tra ieri e oggi nell'ambito della maxi operazione della Polizia contro il terrorismo a fronte di 18 ordinanze di custodia cautelare firmate. Le accuse, a vario titolo, sono di strage, associazione a delinquere con finalità di terrorismo e di immigrazione clandestina con soggiorno e permanenza sul territorio nazionale di cittadini pakistani e afghani.
In carcere è finito Sultan Wali Khan, 39 anni, considerato il capo della comunità pakistana a Olbia, promotore della moschea, titolare di un bazar in
città. È considerato dagli investigatori uno dei vertici della cellula terroristica ramificata in Sardegna. Avrebbe recuperato i fondi per i gruppi terroristici, grazie a collette tra le comunità islamiche del nord dell'Isola, ufficialmente destinate a scopi umanitari. Un ruolo analogo ma più specifico in chiave di ideologo e indottrinatore, veniva svolto, sempre secondo gli inquirenti, dall'Imam di Bergamo, Hafiz Muahammad Zulkifal, 43 anni, anche lui arrestato oggi.

I due avevano costanti collegamenti per trasferire le somme di denaro a tutti gli affiliati. Gli altri finiti in manette sono Imitias Khan, 40 anni, Niaz Mir, di 41, e Siddique Muhammad, di 37, tutti pakistani rintracciati a Olbia; Yahya Khan Ridi, afghano, 37enne, arrestato a Foggia; Haq Zaher Ui, 52 anni, catturato a Sora (Frosinone); Zuabair Shah, di 37, e Sher Ghani, di 57, pakistani bloccati a Civitanova Marche (Macerata). Gli altri nove sono attualmente ricercati, tre sarebbero ancora in Italia i restanti, invece, avrebbero già lasciato il territorio nazionale.

La Polizia di Stato di Macerata ha arrestato nel pomeriggio il decimo componente dell'organizzazione terroristica islamista: l'uomo, un 46enne pakistano, è stato fermato all'interno di uno stabile di Porto Recanati, dove da tempo vivono numerose persone di diversa etnia. Si tratta del terzo arresto di un pachistano eseguito oggi nelle Marche nell'ambito dell'inchiesta sarda.

Dalle conversazioni intercettate tra i componenti della cellula di Al Qaida che ha operato in Sardegna è emersa la presenza in Italia di un kamikaze e l' ipotesi che si progettasse un attentato in Vaticano. Secondo quanto reso noto dal procuratore Mauro Mura, l'ipotesi di progetto di attentato in Vaticano risalirebbe al marzo del 2010, durante la permanenza in Italia del kamikaze pakistano.

«Da quel poco che si dice sembra una ipotesi del 2010 senza seguito. Quindi la cosa non è oggi rilevante e non è motivo di particolari preoccupazioni». È quanto dice il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, sulle ipotesi di progetto di attentato in Vaticano (che quest'anno celebrerà il giubileo) riferite dalla procura di Cagliari, minimizzando le dichiarazioni della procura. Una dichiarazione a cui si è aggiunta quella del segretario di Stato vaticano, Parolin: «Siamo tutti esposti e abbiamo tutti paura ma il Papa è molto tranquillo in questo, basta vedere come incontra le persone con grande lucidità e serenità». «Il timore più grande - ha aggiunto Parolin - è quello che possano essere coinvolte persone innocenti in attentati.

Non mi sembra però di percepire in Vaticano una preoccupazione esagerata, certo bisogna stare attenti».



La base operativa del network terroristico si trovava in Sardegna. L'indagine, diretta dalla Procura Distrettuale di Cagliari e coordinata dal Servizio Centrale Antiterrorismo (S.C.A.) della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, sta coinvolgendo le Digos di sette province italiane. Dall'indagine della Digos di Sassari, che ha permesso di sgominare il network fondamentalista, sono emerse intercettazioni dalle quali risulta che due membri dell'organizzazione hanno fatto parte della rete di fiancheggiatori che in Pakistan proteggevano lo sceicco Osama Bin Laden.

In particolare, la polizia sta eseguendo 18 ordinanze di custodia cautelare nei confronti appunto di appartenenti ad un'organizzazione dedita ad attività criminali transazionali, che si ispirava ad Al Qaeda e alle altre formazioni di matrice radicale sposando la lotta armata contro l'Occidente e il progetto di insurrezione contro l'attuale governo in Pakistan.

La strategia degli atti terroristici compiuti era quella di intimidire la popolazione locale e di costringere il governo pakistano a rinunciare al contrasto alle milizie talebane e al sostegno delle forze militari americane in Afghanistan. Gli investigatori hanno riscontrato che alcuni degli indagati sono responsabili di numerosi e sanguinari atti di terrorismo e sabotaggio in Pakistan compresa la strage nel mercato cittadino Meena Bazar in Peshawar il 28/10/2009, dove un'esplosione uccise più di cento persone.

L'attività investigativa della Polizia di Stato ha permesso di riscontrare come l'organizzazione provvedeva ad alimentare la rete criminale destinando una parte del proprio impegno al fenomeno dell'introduzione illegale sul territorio nazionale di cittadini pakistani o afghani che in taluni casi venivano anche destinati verso alcuni paesi del nord Europa.

Per eludere la normativa che disciplina l'ingresso o la permanenza sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari, gli indagati utilizzavano sistemi semplici e collaudati. In alcuni casi facevano ricorso a contratti di lavoro con imprenditori compiacenti in modo da poter ottenere i visti di ingresso. In altri casi percorrevano la via dell'asilo politico facendo passare gli interessati, attraverso documenti falsi e attestazioni fraudolente, per vittime di persecuzioni etniche o religiose.

L'organizzazione forniva supporto logistico e finanziario ai clandestini, assicurando loro: patrocinio verso i competenti uffici immigrazione, istruzioni sulle dichiarazioni da rendere per ottenere l'asilo politico, apparecchi telefonici e sim, contatti personali. L'attività investigativa della Polizia di Stato ha permesso di riscontrare che l'organizzazione criminale aveva a disposizione armi in abbondanza e numerosi fedeli che erano disposti a compiere atti di terrorismo in Pakistan ed Afghanistan, per poi rientrare in Italia.

L'attività investigativa, ha riscontrato come il ruolo principale era svolto da un dirigente del movimento pietistico Tabligh Eddawa (Società della Propaganda) che raccoglieva fondi. I fondi venivano inviati in Pakistan mediante membri dell'organizzazione che aggiravano i sistemi di controllo sull'esportazione doganale di denaro. In un caso è stato riscontrato il trasferimento di 55.268 euro mediante un volo per Islamabad in partenza da Roma Fiumicino, omettendo di farne dichiarazione di possesso alle autorità doganali. Più di frequente però era utilizzato il sistema cosiddetto «hawala».

Si tratta di un meccanismo di trasferimento valutario e occulto, basato sul legame fiduciario diffuso nelle comunità islamiche europee. Tale sistema consente di trasferire una somma di denaro all'estero consegnandola ad un terminale presente nello Stato estero, detto «hawaladar», che fornisce un codice identificativo segreto. I beneficiari della rimessa, tramite tale codice, possono prelevare la somma presso l'«hawaladar» della sede di destinazione.

Ultimo aggiornamento: 25 Aprile, 12:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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