Poesia e web, connubio alla moda
In prima fila la scrittura al femminile

Lunedì 13 Agosto 2012 di Filippo La Porta
L'allegoria della Poesia di Dante Gabriel Ferretti
ROMA - Singolare destino quello della poesia: rivolta malinconicamente al passato e proiettata verso un futuro ipertecnologico. Da una parte infatti ci appare come un linguaggio sempre più obsoleto (la stranezza dell’andare ogni tanto a capo), dall’altra assomiglia alla modalità non lineare, ipertestuale della stessa Rete (in un componimento lirico puoi entrare e uscire dove ti pare) e corrisponde alla modalità analogica del pensiero emotivo (vedi neuroscienze). E anzi è un linguaggio maneggevole, conforme a un’epoca basata su velocità e simultaneità. Ma chiediamoci: la produzione in versi nel nostro paese è all’altezza della scommessa che oggi la poesia, sempre più insidiata dalla canzone pop (quasi una poesia di massa), si prepara ad affrontare? Da innumerevoli segnali sembrerebbe di sì.



I poeti italiani attuali, finalmente liberati dalle ultime scorie afasiche dell’ermetismo, sottratti alla suggestione neo-orfica (l’oscurità programmatica) e all’epigonismo manieristico del postmoderno, estranei pure alla tentazione della prosa (vedi Pasolini e l’ultimo Montale autosemplificatosi negli anni ’70 con Satura), non si vergognano più di dire qualcosa, e dunque si impegnano a pensare, a raccontare, a conversare, ad argomentare in versi (all’origine c’è il grande modello italiano della poesia di Dante, insieme morale e di straordinaria cantabilità, ragionante ed espressivamente audace). Almeno queste sono le conclusioni del lungo editoriale che Paolo Febbraro ha scritto per l’ultimo numero del glorioso Annuario di poesia, pubblicato da Perrone (diretto da lui e da Giorgio Manacorda, che lo fondò nel 1995). In quasi vent’anni l’Annuario si è prodigato nel censire, sistemare, valutare la copiosa galassia della poesia nel nostro paese(secondo un recente censimento l’Italia può vantare due milioni di poeti, se contiamo anche quelli online). Facendo bilanci, stilando graduatorie, ipotizzando canoni, emettendo giudizi di valore non conformisti. Ora Febbraro dichiara una certa stanchezza anche perché, aggiunge, l’Annuario ha vinto, esaurendo il proprio compito militante.



Ha vinto per le ragioni che dicevamo prima, perché la poesia ha smesso di essere autoreferenziale e chiusa nel proprio gergo esoterico (significativamente si intitola Poesia senza gergo un bel saggio per Gaffi di Matteo Marchesini, il quale predilige i poeti-critici, saggisti in nuce…). E perché sulla scena restano almeno una dozzina di poeti di sicuro valore, che reagiscono all’arbitrio dell’informe e tentano di dire il mondo attraverso una lingua che è del nostro tempo, mentre l’esorbitante popolo dei poeti tende a usare una lingua poetica arcaica volgarizzata e a ignorare «un lessico e un artigianato poetico contemporaneo» (Alberto Bertoni in La poesia contemporanea, Il Mulino).



Ma vediamo da vicino alcuni di questi poeti, raccolti nel recente Nuovi poeti italiani 6 Einaudi) a cura di Giovanna Rosadini, che ha scelto 12 voci femminili, anche per compensare un po’ l’ingiustizia di troppe antologie poetiche che quasi escludono le donne, da Mengaldo a Sanguineti (non sono certo che esista una scrittura femminile, specie in un mondo dove si sceglie tutto, perfino il sesso, però credo nel femminile come modalità conoscitiva fondata su una passività ricettiva estranea alla volontà di dominio). Tra quelle presenti nell’antologia ottimamente curata dalla Rosadini (che è anche poetessa) vorrei citare le mie preferite.



Il ritratto di Napoli nei versi di Rossella Tempesta è visionario e di minuziosa precisione: «stasera città presepiale,/deserta di pastori e affollata/ di case e lucine/ - accesi i salotti, le cucine…». Laura Liberale quasi suggerisce, con filosofica levità, una definizione della poesia: «Ci giocherai, vedrai, con le parole./Potrai fondare analogie/creare insospettate connessioni/un tuo esoterico vocabolario». Isabella Leardini fissa la tremante, effimera felicità dell’esistenza: «Chi perde il tempo di essere felice/ per prima cosa perde le risate/che tolgono il respiro, poi qualcuno/scende dentro lo sguardo lo fa nero/ come l’argento chiuso nei cassetti». Maria Grazia Calandrone riannoda le umana quotidianità una percezione cosmica: «Il sole è un animale generoso e lento/sosta/nella buca oceanica del giorno con il suo occhio, con il/suo circolare/occhio». Laura Pugno ritrae la fluidità (pur inquietante) della sua creatura in kayak: «è una ragazza con la schiena dritta/orecchie piccole e bianche con orecchini di perle/non vedi le gambe - /(…) - / non vedi la sua forma di sirena,/l’acqua è immobile sotto». Ma la più autentica voce poetica di questa antologia – e una delle maggiori nel panorama attuale – è quella di Alida Airaghi: «Non sono onde. Ne avrebbero forse/l’intenzione, increspature leggere,/rughe dell’acqua, e basta./Non sarà mai tempesta/questo lago, scarso coraggio/di farsi mare, se accoglie un fiume/lo placa, lo annulla in una quiete/casta». Con lei scopriamo la necessità della poesia anche nel terzo millennio: singolare scienza delle relazioni invisibili tra le cose, stravolgimento (o intensificazione) del discorso ordinario per rivelare qualcosa di non ovvio, autobiografia interiore, sapere per nulla esoterico ma capace di aderire al ritmo stesso della realtà.
Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 08:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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