Slovenia, gli anni della ferocia: Italia e Germania nel '41 invasero la Jugoslavia e iniziarono rastrellamenti e fucilazioni

Venerdì 2 Aprile 2021
Slovenia, gli anni della ferocia: Italia e Germania nel '41 invasero la Jugoslavia e iniziarono rastrellamenti e fucilazioni
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Il 6 aprile del 1941 l'Italia, assieme alla Germania, invadeva la Jugoslavia e un mese dopo veniva annessa al Regno la Provincia di Lubiana: l'inizio di una durissima repressione fatta di rastrellamenti, villaggi bruciati e fucilazioni. Le vittime furono oltre 9mila, i deportati civili 20mila: 650 morirono nei campi di internamento di Treviso e Udine.


Ottant'anni fa, il 6 aprile 1941, l'Italia, assieme alla Germania, invadeva la Jugoslavia.

Neanche un mese dopo, il 3 maggio, veniva annessa al Regno la Provincia di Lubiana, un'entità amministrativa che comprendeva 337 mila abitanti, nella quasi totalità sloveni. Il territorio andava dall'allora confine del Regno d'Italia con il Regno di Jugoslavia, a Postumia, fino a est di Lubiana, la capitale. La Provincia di Lubiana ha cessato di esistere dopo l'8 settembre 1943 e dopo una serie infinita di violenze che hanno reso la situazione pesantissima. Gli sloveni non volevano saperne di essere occupati e gli occupatori italiani hanno scatenato una repressione durissima. Qualche numero tanto per dare un'idea: le vittime slovene sono state 7800, compresi i civili (fonte italiana) ed esclusi i morti nei campi di internamento, i caduti italiani un po' oltre il migliaio (ma non esiste un computo esatto), i deportati civili in massima parte vecchi, donne e bambini, perché i maschi in età militare combattevano, o da una parte o dall'altra sono stati circa 20 mila in una serie di campi di internamento. Quelli hanno avuto il maggior numero di vittime sono stati Arbe (oggi Rab, in Dalmazia), 1500 morti; Gonars (Udine) circa 450; Monigo (Treviso) circa 200. In questi campi veniva internata la popolazione civile rastrellata dai villaggi dove si era verificata attività partigiana, i villaggi in genere venivano dati alle fiamme.


RAPPRESAGLIE

L'estate del 1942 è stata il periodo più violento dell'occupazione italiana della Slovenia. Per volere del governatore civile, Emilio Grazioli, Lubiana era stata circondata dal filo spinato (buona parte del cammino di ronda lungo il reticolato esiste ancora oggi e i lubianesi lo usano per fare jogging). Le operazioni condotte dal Regio esercito portano a 1053 sloveni uccisi in combattimento, 1236 fucilati sul posto, 145 ostaggi fucilati senza processo, centinaia di villaggi bruciati (numeri di fonte italiana). Le perdite italiane nello stesso periodo assommano a una settantina di vittime. Il 13 ottobre 1942 i partigiani uccidono il governatore collaborazionista Marko Natlacen, gli italiani tirano fuori dal carcere 24 prigionieri, li mettono davanti al portone di casa di Natlacen e li fucilano sul posto. Marco Cuzzi, docente di Storia contemporanea all'università di Milano, famiglia originaria di Pola, è stato uno dei primi storici italiani a occuparsi dell'occupazione italiana della Slovenia. Spiega che si è trattato di una specie di «corsa su Lubiana» per arrivare prima dei tedeschi, agli italiani interessava la Dalmazia, non certo una regione che aveva per secoli, e fino a una ventina d'anni prima, fatto parte della monarchia asburgica. 


«Nessuno aveva un programma sulla Slovenia», spiega Cuzzi, «non era tra gli obiettivi storici dell'Italia. Gli italiani avevano legami con gli ustascia croati e i cetnici serbi, ma nessuna relazione con la Slovenia. Se la ritrovano in mano perché i tedeschi entrano dall'Austria, in luoghi dove vive una numerosa minoranza tedesca e buona parte della popolazione parla tedesco perché aveva frequentato le scuole al tempo dell'Austria. Così l'XI Armata, comandata dal generale Mario Robotti, viene mandata avanti per evitare che l'Italia si ritrovi di nuovo schiacciata sulle vecchie frontiere asburgiche. La creazione della Provincia di Lubiana è un'operazione con un obiettivo interno: disattivare l'irredentismo sloveno. I tedeschi, infatti, prospettavano la creazione di uno stato fantoccio, sul modello della Slovacchia di monsignor Jozef Tiso. A quel punto gli sloveni dei territori metropolitani, definiti allogeni dal fascismo, avrebbero avuto un punto di riferimento, mentre l'annessione al Regno disattiva questa possibilità».


Così, per 29 mesi, l'Italia si allarga: documenti bilingui, targhe LB, nomi delle strade cambiati, i ragazzi inquadrati nei balilla, le ragazze nelle giovani italiane, ma attenzione agli abitanti della nuova provincia non viene data la cittadinanza italiana, rimangono in una specie di limbo. 
«Il governatore Grazioli», osserva Cuzzi, «avvia una trattativa infinita con i ministeri di Roma per estendere le normative italiane alla nuova provincia, ma la verità è che non interessa niente a nessuno. Dopodiché, dal settembre 1941, l'area diventa zona di operazioni e il potere passa nelle mani del generale Robotti». Si era verificato quello che in termini tecnici è il primo atto di guerra in territorio italiano (anche se poi si preferisce glissare). C'era stata una battaglia sul monte Krim, a sud di Lubiana e il governatore Emilio Grazioli ai partigiani aveva contrapposto collaborazionisti, camicie nere, polizia carabinieri. In sostanza si erano schierati poliziotti contro i partigiani. Non era però una questione di ordine pubblico, bensì un atto di guerra e quindi Grazioli viene accantonato in favore di Robotti, il generale noto per aver scritto un appunto a mano su un ordine di servizio: «Si ammazza troppo poco». 


Sarebbe sbagliato pensare a una Slovenia controllata dai partigiani comunisti. Anzi, la Slovenia era una regione tradizionalmente bianca, fino al 1918 legatissima alla dinastia asburgica, tanto che dati dei servizi segreti italiani contro 1800 partigiani originari del territorio della Provincia di Lubiana si registrano ben 6 mila collaborazionisti della Bela Garda (Guardia bianca), tre volte tanti, insomma. Ma la feroce repressione, i rastrellamenti, le deportazioni, le fucilazioni, fanno schierare la popolazione al fianco di chi voleva liberarsi degli italiani. «Crimini che», sostiene Cuzzi, «vengono compiuti dal Regio esercito. Le camicie nere sono violente, ma l'esercito non è da meno, tanto che addirittura si registrano alcuni interventi della polizia militare, i carabinieri, contro gli eccessi dell'esercito».


NEL DIMENTICATOIO

«La maggior parte della popolazione», dice ancora Cuzzi, «era composta da contadini timorosi che i comunisti rubassero loro la terra. All'inizio l'Italia è vista come il male minore. Ma l'assenza di collegamenti con i disponibili, e i soliti italiani maldestri e voraci, fanno sì che la situazione precipiti». Dopo l'8 settembre 1943 uno dei generali italiani, Guido Cerruti, comandante della divisione Isonzo, si unisce alle formazioni di Tito e combatte per un po' come partigiano semplice, prima di essere rimpatriato e diventare uno dei fondatori dell'esercito del Sud, cobelligerante con gli Alleati. Nessuno dei generali accusati di crimini di guerra, da Robotti al suo successore Gastone Gambara disse: «Non risponderemo dente per dente, ma testa per dente» verrà mai processato. Tutto finisce nel dimenticatoio della storia.
Alessandro Marzo Magno

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