«Bravo detenuto»: l’ex camorrista con una condanna a 30 anni per 6 omicidi può chiamare il figlio tutti i giorni

E' recluso al Due Palazzi. La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità del divieto di telefonate quotidiane dopo gravi crimini

Martedì 14 Maggio 2024 di Angela Pederiva
Carcere Due Palazzi di Padova

PADOVA - Nel mondo carcerario è ancora aperto il dibattito sulla possibilità per i detenuti di effettuare telefonate giornaliere ai familiari. Ma intanto a vedersi riconosciuto questo diritto è un ex camorrista, ristretto al Due Palazzi per scontare trent’anni di reclusione, in conseguenza di condanne per sei omicidi commessi tra il 1992 e il 2000, associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, furto, detenzione abusiva di armi e ricettazione, reati quasi tutti compiuti come affiliato al clan La Torre.

Con una sentenza pubblicata ieri, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma che finora vietava ai reclusi per gravi crimini le chiamate quotidiane ai figli minori e agli altri congiunti malati o disabili: l’uomo potrà contattare tutti i giorni il suo bambino, «concepito durante la detenzione con fecondazione assistita».

LEGAMI E COLLABORAZIONE 
Attualmente il carcerato fruisce di sei videochiamate al mese con la famiglia, più due colloqui telefonici alla settimana con il figlio. Durante il Covid, quando le visite ai penitenziari erano state sospese a causa delle restrizioni sanitarie, le comunicazioni a distanza erano state agevolate sulla base della normativa emergenziale, ma poi sono state gradualmente ripristinate le regole precedenti nel rispetto della legge statale. Perciò nel 2023 la direzione del carcere di Padova aveva negato all’ex esponente della camorra, il cui fine pena è fissato nel 2028, il permesso di effettuare le chiamate giornaliere al figlio minorenne, come invece era avvenuto durante la pandemia e fino a tutto il 2022.
L’uomo è infatti stato condannato anche per reati cosiddetti “ostativi”. Si tratta di crimini, come ad esempio l’associazione di tipo mafioso, considerati dall’ordinamento così gravi da impedire l’accesso ai benefici penitenziari, a meno che non venga accertata l’insussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e non venga provata la “collaborazione impossibile”, cioè appunto l’impossibilità per il detenuto di collaborare con la giustizia in quanto ha già dichiarato tutto quello che sa o i fatti sono già stati accertati nella loro completezza. Nel suo caso, la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha evidenziato che l’uomo, vista la reclusione, «non risulta essere stato coinvolto in altre attività di indagine». Inoltre per tutti gli omicidi riconducibili al sodalizio mafioso (quattro su sei) e i reati aggravati dal metodo mafioso, il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha accertato ancora nel 2017 «l’impossibilità della sua collaborazione». Di conseguenza dal 2020 il detenuto è stato ammesso a fruire dei permessi premio, circostanza che gli ha consentito «di coltivare il legame con il figlio», come ha annotato l’Ufficio di sorveglianza di Padova, nel momento in cui ha ritenuto che il rifiuto del carcere fosse rispettoso della legge in vigore, ma appunto ha dubitato della legittimità costituzionale di quella disposizione. 

INCONGRUENZA
In sostanza è stata rilevata un’incongruenza fra il divieto di effettuare le telefonate quotidiane e la concessione delle uscite straordinarie per fare visita alla famiglia, elargita «a fronte di atti dell’osservazione intramuraria che fotografavano non solo una condotta regolare ed esente da rilievi disciplinari e la partecipazione alle attività trattamentali disponibili nel circuito di Alta Sicurezza ma anche una importante rilettura critica dei gravi reati». Non a caso pure l’Ufficio esecuzione penale esterna di Caserta ha rimarcato che «il desiderio di genitorialità prima e poi la nascita del bambino» hanno inciso «in modo positivo sulla vita del detenuto».
Questa tesi è stata condivisa dalla Corte Costituzionale, la quale ha osservato che i ristretti come l’ex camorrista sono autorizzati ad avere contatti con i loro familiari, «al di fuori di qualsiasi controllo da parte dell’amministrazione penitenziaria», quando tornano a casa in permesso. «Sicché risulta non ragionevole che, quando stiano in carcere, essi debbano soggiacere a una regolamentazione più restrittiva di quella vigente per la generalità dei detenuti con riguardo al solo regime della corrispondenza telefonica “supplementare”», ha argomentato la Consulta, dichiarando la parziale illegittimità della norma. Una decisione che adesso spiana la strada alle chiamate giornaliere con il figlio nato grazie alla provetta.
 

Ultimo aggiornamento: 17:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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