Riforma Giustizia, Meloni firma il testo insieme a Nordio: il messaggio ai pm (e a FI)

La premier e le garanzie a Colle e toghe: nessuna interferenza sull’azione penale

Domenica 19 Maggio 2024 di Francesco Bechis
Riforma Giustizia, Meloni ci mette la firma: il messaggio ai pm (e a FI)

Firmato: Giorgia Meloni. Ci sarà anche il nome della presidente del Consiglio in calce alla riforma della separazione delle carriere, al fianco del Guardasigilli Carlo Nordio. Una rivoluzione a doppia firma quella che promette di scavare un solco tra le carriere di magistrati inquirenti e giudicanti: non è un dettaglio da poco.

Ci mette la faccia la timoniera della destra italiana su una riforma che molto farà discutere nei mesi a venire e già incendia le polemiche della magistratura associata, (quasi) tutta in trincea contro il testo in cantiere a Palazzo Chigi.

Ha seguito passo passo Meloni la gestazione del Ddl ormai pronto al via libera. Cercando di restare in equilibrio, per quanto possibile.

Da un lato il pressing di Forza Italia, la ricerca da parte del partito azzurro guidato da Antonio Tajani di uno “scalpo” elettorale per le Europee, una battaglia storica di Berlusconi finora mai andata in porto. Dall’altro il tentativo di tenere aperto un canale nei rapporti burrascosi fra governo e toghe. Ma anche con il Colle e Sergio Mattarella che presiede il Csm e ha seguito molto da vicino il lavorio preparatorio del ddl costituzionale sulla Giustizia, facendo trapelare dagli uffici tecnici dubbi e remore sui passaggi più spinosi, forieri di critiche e proteste della categoria.

LE GARANZIE

Alla fine Meloni è riuscita a garantire l’approdo in Cdm della riforma prima del voto europeo. Ma a condizioni ben precise. Non ha mai voluto, raccontano dal suo cerchio stretto, regalare a Forza Italia una “bandierina” elettorale, permettere al partito che fu del Cavaliere di mettere il cappello sulla rivoluzione delle toghe. Messaggio pericoloso da far passare alla vigilia di una sfida elettorale proporzionale, le Europee appunto, che si gioca tutta su una sfrenata caccia alle preferenze, a costo di contenderle ai propri alleati.

Ecco, firmare quel testo serve a questo: sottrarlo alla logica dei vessilli da sbandierare di fronte agli elettori del centrodestra, magari rosicchiando consensi agli altri partiti della coalizione. Ma è anche un segnale di garanzia. Quella che Meloni ha voluto dare al mondo delle toghe con una tregua che non è ufficiale ma è nei fatti e nelle pieghe della riforma pronta al via.

È stata la presidente del Consiglio a spegnere sul nascere un focolaio che avrebbe incendiato la magistratura italiana. Ordinando lo stop a qualsiasi proposta di modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale. Un altro vecchio pallino di Berlusconi: scrivere nero su bianco nella Carta che l’azione penale dei pm non è obbligatoria, ma discrezionale. Pura nitroglicerina, quanto basta per innescare la sommossa dei togati italiani.

Anche per questo nei mesi scorsi in Parlamento il centrodestra ha frenato una proposta di legge di Forza Italia. Obiettivo: determinare i criteri di priorità dell’azione penale. Prima i reati contro l’incolumità fisica e contro il patrimonio e solo poi, in seconda fila, i reati dei “colletti bianchi”, ad esempio contro la Pubblica amministrazione.

Non se ne è fatto niente e lo stop è arrivato proprio da Fratelli d’Italia. Ora lo stesso sull’azione penale: tutto rinviato a data da destinarsi, su precisa indicazione di Meloni. È lastricato di queste accortezze il percorso che ha portato alla scrittura della separazione delle carriere. Sempre tenendo aperto un canale, grazie ai buoni uffici del sottosegretario (ed ex magistrato) Alfredo Mantovano, con il Quirinale.

È stata una scelta studiata, quella di avocare al governo le trattative per dare forma alla rivoluzione della magistratura. Pensare che in Parlamento erano da tempo affastellate diverse proposte di legge del centrodestra, peraltro simili fra di loro e confezionate dopo un lungo lavoro istruttorio. Sono state portate in processione a via Arenula a metà marzo ed è lì che è arrivato lo stop: se ne occuperà il governo.

LA REGIA

Un modo per sottrarre la separazione delle carriere ai continui blitz della maggioranza in aula e insieme alla palude del Parlamento dove spesso rimangono incagliati provvedimenti di enorme peso politico. È il caso del Ddl Nordio, la riforma della giustizia che contiene la cancellazione dell’abuso di ufficio: è stata varata nel lontano giugno del 2023, ma dalle Camere non è ancora uscita fuori, con buona pace delle proteste di Forza Italia. La riforma delle carriere è invece pronta a camminare sulle sue gambe. Fin dove si spingerà, è presto per dirlo: dovrà superare lo scoglio di un referendum e non è scontato. Intanto Meloni ci mette su la firma.

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