Le croci in vetta: sacre o profane? Delle 4mila presenti sulle vette alpine la gran parte è stata eretta dopo il 1940

Domenica 19 Maggio 2024 di Adriano Favaro
Le croci in vetta: sacre o profane?

Ogni salita è sempre salita al simbolico. La prima, testimoniata da un testo scritto su tavolette, risale all'epopea babilonese che racconta i miti sumerici del XII secolo avanti Cristo a quando nasce la narrazione di Gilgamesh, mitico re di Uruk.

Gilgamesh arriverà nel Libano, al monte Masu, "gemello" con due vette, vincendo i guardiani uomini-scorpione. Tutto questo mentre lo stesso Gilgamesh (metà dio, metà uomo) capisce che potrebbe morire, come accaduto all'amico Enkidu.


La prima testimonianza letteraria dell'umanità è la narrazione di una scalata; che in qualche modo cerca di sconfiggere anche la morte. Una salita al simbolico.


C'è quindi da chiederci cosa provi ciascuno di noi quando incontra qualche "simbolo" piantato su una delle cime alpine o appenniniche: come una croce, per esempio. Giusto, sbagliato, indifferente quel simbolo? Tutto ciò si incontra in un coraggioso volume "Sacre vette - I simboli sulle cime con le croci sui Tremila delle Dolomiti" (a cura di Ines Millesimi e Mauro Varotto - 152 pagine, 24 , Cierre Edizioni) avviato dopo il lavoro di censimento dei simboli di vetta sopra i tremila metri di quota delle Dolomiti, realizzato tra 2022 e 2023.


LE IDEE
Il lavoro accosta una ventina di testi di autori e autrici italiani e non, atei, credenti, religiosi, indifferenti, studiosi, costruendo un delicato mosaico di idee e di confronti tra Italia, Austria, Spagna, Francia, Slovenia. Così le croci appaiono anche oggetto di conflitti tra confinanti facendo trasparire in filigrana per molti anche l'inattualità delle croci perché "nessuno detiene il copyright di Dio". Le croci, queste dei tremila e tutte le altre, insomma riescono a interrogarci su cosa sia il rispetto per la montagna. Croci diventate anche la simbolizzazione di sentimenti religiosi negli spazi di wilderness e che portano monsignor Melchor Sánchez de Toca ad un testo raffinato ed elegante. Il cappellano del Papa non ha una risposta sul sì o no alle croci in vetta; ma ricorda che per secoli il cristianesimo non ebbe alcuna croce nelle rappresentazioni artistiche, che la croce non è né un marchio commerciale né un segnaposto e che di fronte al caos attorno all'argomento "San Paolo avrebbe detto che questo è vuotare la croce di Cristo".


LA STORIA
Fino al 1800 erano rare le croci; apparse su alcune vette alpine alla fine del Settecento. Antico rito di cristianizzazione del territorio, affondavano le radici nella pratica contro-riformista di marcare gli spazi nei luoghi di maggior transito. Il 28 luglio del 1800, per esempio, la spedizione guidata dal sacerdote carniolino Valentin Stanig aveva raggiunto la vetta nevosa del Grossglockner innalzando una grande croce in legno. Sul monte Rosa, Joseph Zumstein e Jean-Nicolas Vincent, giunti per primi in vetta, il 1° agosto 1820, piantarono nei ghiacci una bandiera e una croce in ferro. Nelle aree protestanti, per esempio in Svizzera e nelle valli valdesi, le croci di vetta sono invece casi isolati e rari, collocate a partire dalla fine del XX secolo. Sulle montagne slovene sono alcune delle storie che si leggono nel volume - l'installazione di sporadiche croci di vetta è fenomeno dovuto alla dissoluzione della Repubblica socialista federale di Jugoslavia e all'indipendenza slovena del 1991. Delle 3-4 mila croci sulle vette alpine la gran parte è stata eretta dopo il 1940, soprattutto negli ultimi decenni.


Nella seconda metà dell'800 la Chiesa cattolica reagì con energia al marcamento del territorio alpino da parte degli Stati nazionali. Quando sulle vette si incominciarono a piantare le bandiere nazionali, i cattolici risposero erigendo croci, statue del Cristo e della Madonna, celebrando messe. Ma il movimento individuale di pellegrinaggio verso l'alto cambia dal 5 settembre 1896, chiusura del XIV Congresso Cattolico Italiano a Fiesole, con l'avvio di un «piano di voto al Cristo Redentore», sostenuto da Papa Leone XIII per consacrare diciannove monti (quanti i secoli della Redenzione) con altrettanti monumenti.


La Grande Guerra fa smettere il confronto dei simboli sacri e laici: nella battaglia del Grappa ("Monte Sacro Regionale") la Madonna, benedetta nel 1901 da Pio X, fu colpita da una granata austriaca. Dopo un giro per l'Italia, con le "ferite" visibili tornò il 4 agosto 1921, durante una grande festa «della fede e della patria»: è ora la Madonna degli alpini.


NON SOLO CROCI
Qui finora ce la siamo cavata con pochi simboli: in Argentina la cima più alta d'America, l'Aconcagua (6.961 m), fu ornata dai busti di Perón e di Evita, (ora c'è la statua di un condor). Il Picco Lenin (adesso picco Ibn Sina, 7.134 m), una delle vette più alte del Pamir conserva ancora il piccolo busto bronzeo di Lenin e alle sue spalle una croce ortodossa. Ma ci sono stati un grande ferro di cavallo sull'Hoher Rosshuf, 3.199 m (Sudtirolo), tolto; mentre resiste la Big Bench, la panchina gigante più alta al mondo nel 2021 su Punta Motta di Pleté, 2.860 m, Val d'Aosta. Sparite anche la mezzaluna dell'Islam che s'illuminava di notte sul Freiheit, 2.140 (massiccio Alpstein) e il Buddha in ceramica su Pizzo Badile, 3.308m. Forse si potrà ritornare a discutere su croci sì e no (molte piene di plastica ed etichette pubblicitarie). Ma nessuno, a nostro parere, dovrebbe più dire una parola senza aver letto prima questo libro.

Ultimo aggiornamento: 11:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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