Evacuazione dei civili, incursioni mirate, un’avanzata per sobborghi, il controllo del corridoio che unisce Striscia di Gaza ed Egitto e la messa in sicurezza del centro e del nord dell’exclave palestinese. Israele sembra avere delineato il piano finale per l’attacco a Rafah: la roccaforte degli ultimi quattro battaglioni di Hamas.
IL MODELLO MOSUL
Un assedio a più ondate, che secondo i militari Usa sentiti dal New York Times dovrebbe prendere come modello la liberazione di Mosul del 2017, quando le forze internazionali e irachene ingaggiarono una lotta senza quartiere contro lo Stato islamico, ma non prima di avere evacuato un milione di abitanti. Una battaglia non certo priva di vittime collaterali. Secondo l’Associated Press, furono circa novemila per persone morte durante l’assedio, di cui tremila, a detta di alcuni osservatori, sotto le bombe della coalizione anti Daesh. Ma nello stesso tempo, prima della battaglia, Washington e Baghdad riuscirono a mettere in sicurezza un milione di persone, evitando che finissero intrappolati nella resa dei conti con il Califfato. Ed è su questo punto che gli Usa sono stati chiari sin dall’inizio nelle discussioni con gli israeliani per decidere il destino di Rafah. Colloqui andati avanti fino alla scorsa settimana. Netanyahu sa che deve evitare passi falsi. L’occhio del presidente Usa Joe Biden controlla ogni mossa dell’alleato.
CONTINUI ATTACCHI
Gli altri fronti ribollono, specialmente quello del Libano, dove l’uccisione di un alto comandante delle Radwan ha scatenato un fitto lancio di droni e missili da parte di Hezbollah, colpito a sua volta dai raid israeliani. Da alcuni giorni, gli aerei dell’Idf hanno ripreso a martellare con maggiore intensità la zona di Rafah. Raid che secondo Save the Children hanno provocato la morte di 21 minorenni negli ultimi tre giorni. La scorsa notte, i jet israeliani hanno bombardato i lanciarazzi di Hamas già pronti all’uso. E mentre la Brigata Nahal ha proseguito le sue operazioni nella parte centrale della Striscia, lungo il Corridoio Netzarim, a nord (dove è stato ucciso un altro soldato) l’Idf ha ordinato lo sgombero di alcune zone di Beit Lahia in vista di nuovi scontri. Per Hamas, Israele è «bloccato nelle sabbie di Gaza». Ma Netanyahu sa che l’opinione pubblica israeliana vuole un risultato contro la milizia e soprattutto sulla liberazione degli ostaggi. Lunedì sera, i manifestanti hanno incendiato simbolicamente un tavolo davanti alla residenza del premier a Cesarea. E ieri, per i 200 giorni di prigionia dei loro cari, i parenti degli ostaggi e i sostenitori della causa sono scesi di nuovo in strada a Tel Aviv. La “calma” per l’attacco dell’Iran è finito. E Netanyahu, che oggi deve vedere il leader dell’opposizione Yair Lapid, sa che deve sciogliere il nodo Rafah il prima possibile.